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        |  | L'anca Grazie alla grossa testa femorale che si incastra in  una concavità del bacino (chiamato cotile o acetabolo), l’articolazione  dell’anca è caratterizzata da ottima stabilità e un’ampia escursione  articolare.
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 Il  rivestimento cartilagineo, ben lubrificato dal liquido sinoviale, in questo  giunto carico-portante è molto spesso e permette di mantenere un movimento  senza attrito tra il tronco e l’arto inferiore, anche di fronte a pressioni  elevatissimi. Un’importante  gruppo legamentoso che rinforza esternamente la capsula e la muscolatura  circostante impediscono la lussazione dell’anca.
 La vascolarizzazione della testa  femorale è garantita fondamentalmente da vari rami ascendenti delle due arterie  circonflesse provenienti dall’arteria femorale, che circondano il collo  femorale come un anello. All’apice  della testa femorale si inserisce un legamento (leg. rotondo) proveniente dal  centro dell’acetabolo, che aumenta la stabilità rotazionale e partecipa, con il  terzo vaso sanguigno, alla vascolarizzazione dell’osso cefalico (della testa  femorale).
 Il  labro cotiloideo è una struttura circonferenziale sul bordo del cotile,  paragonabile al labro glenoideo nella spalla, che si restringe attorno al collo  femorale, dando maggiore congruenza articolare e un’importante regolarizzazione  dei flussi del liquido sinoviale all’interno della potente capsula articolare. A  stretto contatto con l’anca troviamo il nervo sciatico posteriormente, i vasi  iliaci medialmente a pochi millimetri nella pelvi e i vasi e il nervo femorale  anteriormente. Sulle prominenze ossee femorali si inseriscono medialmente  l’iliopsoas (flessore e extrarotatore) sul piccolo trocantere e lateralmente, sul  grande trocantere, i tendini della muscolatura glutea (estensori e abduttori) che  mantengono i capi articolari in stretto contatto. L’anca dolorosaLe  patologie dell’anca generano il classico dolore “coxalgico”, il quale si manifesta  a livello dell’inguine, al fianco e in zona glutea e spesso si irradia lungo la  faccia anteromediale della coscia fino, ma non oltre, al ginocchio |  |  | 
  
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        |  | Una sintomatologia simile può essere provocato anche  da diverse affezioni dolorose, da considerare quindi nella diagnosi  differenziale: il dolore posteriore con origine del rachide lombosacrale (artrosi, discopatie, artriti  sacroiliache) |  |  | 
  
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        |  | , il dolore posterolaterale da patologie trocanteriche (borsite, tendinopatia / lesione glutea, sindrome  del piriforme, anca a scatto esterno) |  |  | 
  
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        |  | il dolore anteriore da patologie del  muscolo iliopsoas e ernia crurale, il dolore  mediale da ernia inguinale, anca a scatto interno, patologie degli  adduttori e della muscolatura addominale. Sia  anche ricordato che spesso l’unico sintomo di una patologia all’anca è il  dolore al ginocchio, specialmente nei bambini o adolescenti! Altri segni  patologici associati sono la zoppia e la limitazione progressiva del movimento  articolare.
 Le  cause più frequenti della coxalgia sono l’artrosi (coxartrosi), la necrosi  cefalica asettica, un’impingement femoro-acetabolare o artropatie reumatiche.
 L’artrosi all’anca (coxartrosiCon coxartrosi si intende una lenta ma progressiva  distruzione dell’articolazione coxofemorale nella quale la copertura  cartilaginea si assottiglia fino all’esposizione dell’osso sottocondrale
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        |  | Di  seguito, il movimento articolare avviene con attrito (contatto osso-osso) e  crea infiammazione, aumento del liquido e quindi della pressione  intraarticolare e dolore più o meno invalidante. Quest’ultimo assume un  carattere meccanico nelle fasi iniziali (presente solo sotto sollecitazioni) e  pure infiammatorio nelle fasi avanzate, presente anche a riposo con eventuale rigidità  mattutina.Le  cause della coxartrosi primaria sono l’usura per età o la degenerazione  naturale, mentre tra le cause secondarie vi sono varie anomalie di forma e  funzione congenite o acquisite durante la vita o, più raramente, disordini  sistemici o esiti di trattamenti farmacologici (displasia congenita |  |  | 
  
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        |  | impingement femoro acetabolare  |  |  | 
  
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        |  | necrosi avascolare della testa femorale, esiti di malattia di Perthes, etc ...) |  |  | 
  
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        |  | Clinicamente è presente il dolore coxalgico, il quale, secondo la  gravità del caso, può associarsi a zoppia di fuga e un graduale atteggiamento vizioso  dell’anca in flessione e extrarotazione per contratture muscolari.Radiograficamente, nello stadio finale, sono visibili i 4 segni  cardinali dell’artrosi: |  |  | 
  
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        |  | la  riduzione dello spazio articolare, l’addensamento dell’osso sottocondrale  (sclerosi), le formazioni cistiche (geodi) e la presenza di ossificazioni (osteofita)  con le quali nostro organismo aumenta la superficie di trasmissione del carico  riducendo la pressione sull’articolazione sofferente. Ulteriori  esami strumentali sono utile solo nel caso di necrosi (RMN) 
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        |  | o displasia / esiti di fratture (TAC) |  |  | 
  
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        |  | per  la valutazione delle condizioni ossee.I  pazienti si rivolgono allo specialista ortopedico non solo per il dolore, che  in fase avanzata è difficilmente controllabile con farmaci, ma anche per  l’ingravescente limitazione funzionale: spesso l’assottigliamento cartilagineo  e una risultante curvatura posturale antalgica della colonna vertebrale crea  una differenza di lunghezza degli arti inferiori. Insieme alla progressiva  rigidità dell’anca i pazienti faticano ad eseguire i movimenti banali della  nostra vita quotidiana: infilarsi le calze, sedersi in macchina, salire le scale,  etc.
 Mentre  esistono vari approcci conservativi o chirurgici di prevenzione, quando  l’artrosi è acclamata, l’unico trattamento risolutivo tuttora è la sostituzione  protesica.
 
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        |  | La protesi all'anca La  sostituzione protesica dell'anca é uno degli interventi ortopedici con maggior  beneficio per il paziente, in termini di sollievo del dolore e del recupero  funzionale dell'articolazione malata. Si intende un’articolazione artificiale  con elementi di metallo ancorati nell’osso del bacino e/o nel femore e delle  componenti di materiali vari (polietilene, metallo o ceramica) che sono le  uniche ad avere un contatto reciproco e che permettono il movimento di uno  nell’altro come in una giuntura. Distinguiamo due tipi di impianto:
 La  protesi totale (artroprotesi) è la sostituzione artificiale per  eccellenza dell'anca artrosica, deformata da necrosi o displasia o in esiti  traumatici. Contrariamente alla protesi parziale, nell'impianto totale è  previsto anche una componente acetabolare fissa, solitamente una coppa  metallica  |  |  | 
  
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        |  | .Le parti che alla fine hanno contatto tra di loro  sono la testina femorale che viene centrata da un inserto di materiale vario,  come la ceramica, il polietilene o, non nella mia pratica clinica, il metallo. |  |  | 
  
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        |  | In base alla morfologia ossea, l’età  del paziente e le sue richieste funzionali viene scelto il tipo / forma  protesica più adatta. Esistono protesi rette, anatomiche, lunghe, corte o a  conservazione del collo femorale e rappresentano una soluzione individuale per  ogni paziente.La protesi parziale (endoprotesi)  consiste in un impianto interamente ancorato nell'osso femorale, in cui la  parte cefalica convessa si articola con l'osso pelvico appoggiandosi  liberamente nella concavità articolare, detto acetabolo.   |  |  | 
  
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        |  | L'indicazione a questo impianto si  trova specialmente nel paziente anziano in caso di frattura del collo femorale,  quando l'osteosintesi non può garantire un risultato soddisfacente.   La  modalità di ancoraggio degli elementi metallici nell'osso si basa  esclusivamente sulla qualità ossea - nell'anziano con nota ipodensità  preferibilmente con l'uso di cemento acrilico sullo solo stelo femorale (fissaggio  ibrido) |  |  | 
  
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        |  | o  ormai raramente di entrambi le componenti, mentre in tutti gli altri pazienti (nella  nostra pratica clinica più del 95%) preferiamo l'ancoraggio biologico “a press  fit”, garantito dall'attecchimento osseo su una superficie metallica rugosa. L'intervento  deve essere preceduto da un accurato planning preoperatorio, spesso software-assistito,  in modo da garantire il preciso posizionamento delle componenti protesici, il  recupero di eventuale differenza di lunghezza degli arti e un ripristino della  biomeccanica dell'anca operata. Nella  mia realtà clinica, tutte le protesi dell’anca vengono eseguite in tecnica  mini-invasiva, sovrappeso del paziente permettendo. Tale approccio moderno  garantisce il massimo rispetto dei tessuti molli periarticolari e un ridotto  tasso di complicazioni legati all'intervento chirurgico. La  via di accesso all'anca deve seguire i principi della tissue sparing  surgery e viene da noi routinariamente eseguito da anteriore o laterale diretto   |  |  | 
  
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        |  | sfruttando  al massimo delle esistenti finestre anatomiche, senza ledere importanti  strutture vascolo-nervose o tendinee.Anche  la lunghezza della cicatrice é ormai un dato importante, specialmente in  pazienti giovani o femminili. Un'incisione modificata dell'accesso anteriore centrato  sulla piega inguinale (bikini incision) permette di eseguire  l'intervento in tecnica mini-invasiva con una cicatrice residua ben copribile  anche da indumenti intimi.   |  |  | 
  
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        |  | La  fase postoperatoria é caratterizzata da una mobilizzazione precoce del  paziente, che già in prima giornata inizia a deambulare con 2 stampelle e a  svolgere pochi e banali esercizi muscolari per il graduale recupero di forza  degli arti inferiori e le posture corrette nella deambulazione. L'approccio  mini-invasivo con l'adeguamento della protesi al paziente e non più viceversa,  non necessità più di una rieducazione articolare nel senso stretto, preferiamo  comunque di tutelare l’impianto per 1 mese da un paio di stampelle per  garantire il corretto attecchimento dell’osso alle componenti protesiche. La revisione della protesi di ancaLa  revisione d’anca è un intervento chirurgico con il quale viene, parzialmente o  interamente, sostituito una protesi fallita. |  |  | 
  
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        |  | Sebbene  le cause che possono richiedere tale operazione sono tante, tutte hanno come  risultato finale un malfunzionamento protesico e solitamente dolore, che con le  cure conservative non possono più essere controllate. Allora diventa  fondamentale affidarsi ad uno specialista in materia, che riconosca il problema  e che ponga una diagnosi corretta, in seguito a un esame clinico e vari  approfondimenti strumentali – sembra scontato, ma spesso la prima grossa  difficoltà sta proprio nell’individuare la causa del fallimento. Di seguito, in  accordo con il paziente, si pone l’indicazione all’intervento di revisione dove  la protesi viene sostituita in parte o interamente, ripristinando un buon  funzionamento alla protesi articolare e togliendo il dolore.Per  un’ulteriore approfondimento a riguardo la revisione d’anca, rimando con grande  piacere al sito del mio Maestro Prof Marco d’Imporzano, con il quale ho l’onore  di eseguire tale tipo di chirurgia dal 2002 e dal quale non smetterò mai di  imparare:
 http://www.dimporzano.info/quando-la-protesi-d-anca-fallisce/
 La necrosi cefalica Quando  parliamo di necrosi cefalica intendiamo un disturbo di irrorazione sanguinea di  un area della testa del femore. Il tessuto osseo “muore”, come il muscolo  cardiaco nell’infarto, e perde infine la sua capacità di resistenza al carico.  Questo processo, se non diagnosticato tempestivamente, può portare al crollo  della superficie caricoportante e rovinare la congruenza articolare dell’anca.Nella  maggior parte dei casi per cause ignote (idiopatica), questa patologia compare  anche dopo certe fratture di collo o testa del femore, in pazienti con terapia  protratta con cortisone, alcoolisti, subacquei (malattia da decompressione), pazienti  con iperuricemia, dislipidemia e diabete mellito.
 Il  primo sintomo generalmente è il dolore – non solo sotto carico, ma anche a  riposo – senza importanti limitazioni del movimento dell’anca.  Nelle  fasi iniziali la radiografia è generalmente negativa per l’assenza di  alterazioni strutturali, ma il problema può essere già evidente alla RMN, dove  si apprezza un’area necrotica disomogenea con edema della spongiosa. |  |  | 
  
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        |  | In gradi avanzati la zona necrotica crolla  gradualmente sotto il peso corporeo creando un’area di incongruenza articolare |  |  | 
  
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        |  | che  successivamente evolve in una coxartrosi secondaria.  Il  trattamento conservativo comprende lo scarico con 2 stampelle, un eventuale  terapia farmacologica per stimolare la densità ossea e degli esercizi per il  mantenimento dell’escursione articolare. In tal modo, il focolaio necrotico si  può stabilizzare e congelare, senza alterare la copertura cartilaginea.Quando  l’edema osseo è importante, vi può essere indicazione alla decompressione  chirurgica: sotto controllo artroscopico o a cielo aperto si crea un canale  osseo di scarico dall’esterno del femore lungo il suo collo e direttamente  nella zona interessata. Questo canale può essere lasciato pervio o zappato con  un innesto osseo con o senza fattori di crescita per revitalizzare il focolaio  necrotico.
 Di  fronte alla completa distruzione articolare, nei termini di una coxartrosi  secondaria alla necrosi cefalica, l’unico intervento risolutivo rimane la  protesi all’anca.
 Displasia dell’anca (DDH)Il  termine displasia dell’anca, ovvero displasia evolutiva dell’anca “DEA”, indica  un’alterazione di sviluppo del tetto acetabolare con ridotta copertura della  testa femorale. Il grado di alterazione può variare da una banale “immaturità”  dell’anca, a un appiattimento della cavità acetabolare, fino alla perdita subtotale  / totale dei rapporti articolari (sublussazione / lussazione) tra femore e os  coxale.Con  l’introduzione routinaria, negli anni ’80-‘90, dello screening ecografico dei  neonati, le complicanze di questa patologia evolutiva dell’anca, nota già ai  tempi di Ippocrate, si sono notevolmente ridotte nelle zone italiane storicamente  più colpite come la Lombardia, il Piemonte, l’Emilia, etc…
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        |  | Se  non tempestivamente diagnosticata in età neonatale e di seguito correttamente  trattata in modo conservativo con tutori particolari (la chirurgia in tale età  è eccezionale), questa patologia può recare seri problemi funzionali al  paziente adulto. L’instabilità  articolare e una ridotta superficie di carico favoriscono la degenerazione  articolare precoce e possono provocare quadri impressionanti di coxartrosi  secondaria.
 Il  trattamento protesico di questi pazienti spesso deve fare i conti con  un’anatomia alterata, grosse carenze ossee e una biomeccanica insolita. Per  questo motivo, il chirurgo può essere costretto, nella protesizzazione primaria  in displasia, a usare impianti o tecniche chirurgiche particolari, che  normalmente utilizza in caso di difetti ossei nella revisione protesica.
 In  caso l’anca diventasse dolorosa prima dei primi segni artrosici è indicata  un’osteotomia pelvica o femorale, con le quali si vuole ottenere  un’accoppiamento biomeccanicamente più vantaggioso dell’anca e ritardare più  possibilmente un’eventuale indicazione protesica. L’artroscopia dell’anca può  aumentare l’instabilità articolare e pertanto non viene consigliata nella  displasia.
 L’anca a scatto  Si  tratta di un fenomeno meccanico all’interno o all’esterno dell’anca che può  provocare uno scatto più o meno doloroso, talvolta udibile non solo dal  paziente stesso, ma anche da chi gli sta vicino.
 Salvo  scrosci provocati da corpi liberi endoarticolari, tale scatto viene provocato  dal movimento di prominenze ossee contro i tessuti molli circostanti. Nello  scatto interno viene sollecitato il tendine del muscolo ileopsoas dal piccolo  trocantere o dall’eminenza ileopettinea, mentre la causa dello scatto esterno  troviamo nella frizione della fascia lata sul grande trocantere. Spesso, tale  condizione è associata a un’infiammazione della borsa protettiva (borsite) e  spiega quindi il dolore talvolta importante.
 La  diagnosi può essere completato da esami strumentali ( Rx, ecografia o  addirittura RMN ).
 L’anca  a scatto solitamente risponde bene al trattamento conservativo: riposo, ghiaccio,  antiinfiammatori e una modifica delle attività scatenanti, seguiti da  un’eventuale infiltrazione steroidea e esercizi di stretching, che allungano le  strutture scattanti e riducono la loro tensione. Solo eccezionalmente, in casi  ribelli, un’atto chirurgico può essere indicato.
 Conflitto femoro-acetabolareSi  intende un contatto anomalo tra testa del femore e acetabolo, laddove in realtà  non dovrebbe avvenire, dato da un’alterazione congenita o acquisita della loro  anatomia. Questo fenomeno può essere provocato da un’esubero osseo del tetto  acetabolare ( “pincer” - tenaglia ) |  |  | 
  
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        |  | da una non perfetta sfericità della testa femorale (  “cam” – camma ) |  |  | 
  
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        |  | o da una  combinazione tra loro.L’urto  continuo della testa sull’acetabolo in alcuni movimenti lede il labbro  cotiloideo e scolla successivamente la cartilagine dall’osso subcondrale fino a  provocare la degenerazione di tutta l’articolazione. Sappiamo infatti che il  conflitto può terminare nell’artrosi dell’anca.Mentre persone  sedentarie possono essere completamente asintomatiche, il conflitto si  manifesta specialmente in pazienti giovani e attivi con dolore inguinale o  gluteo, che alla visita clinica può essere sollecitato con test specifici.
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        |  | Gli esami  strumentali che dimostrano tale condizione sono la radiografia del bacino con  proiezioni particolari per la visualizzazione dell’impingement osseo, la TAC  per una precisa analisi delle deformità ( coxa profunda o cotile retroverso ) e  la RMN ( con o senza liquido di contrasto ) per la valutazione del danno dei  tessuti molli, come il labbro cotiloideo e la copertura cartilaginea.La prima fase  del trattamento prevede terapie conservative come riposo, farmaci  antiinfiammatori, infiltrazioni, fisioterapia e il controllo del peso corporeo.  In caso di scarso beneficio tale condizione può richiedere anche l’intervento  chirurgico, in artroscopia o con tecniche mini-invasive per la regolarizzazione  delle deformità ossee e le loro patologie associate o, nei casi di  degenerazione irreversibile, la protesizzazione dell’anca.
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